Con il grande evento Expò 2015 si intende fare partecipare virtualmente artisti ed autori che hanno dato contributi sul cibo . In particolare la nostra cultura occidentale è fortemente impregnata dei simboli della natura. In primis il melograno. La sua simbologia di perfezione, i granelli, tutti assieme ma divisi, è un aforisma del popolo di Israele, a cui è caro il frutto. La simbologia nelle metamorfosi di Ovidio, secondo cui l’inverno avrebbe origine dalla scomparsa di Persefone, costretta a dimorare negli inferi da Ade durante un certo periodo dell’anno perchè ha assaggiato un granello di melagrana e la madre, disperata senza lei farebbe cadere il freddo e la neve per contagiare del suo dolore per l’assenza della figlia. Poi c’è la favola del melograno dei fratelli Grimm .
L’interpretazione del grande pittore bolognese Wolfango Peretti Poggi vede il melograno con tutti i granati che si staccano dotandosi di un aspetto umanoide.
Ebraismo-il melograno di Romy Coen
Il libro dell’Esodo (Esodo; 28:33 – 34) prescrive che le immagini delle melagrane siano applicate sugli abiti rituali dei Grandi Sacerdoti. Il libro dei Re (Re; 7:13 – 22) descrive i melograni rappresentati sui capitelli che erano sul fronte del Tempio di Salomone in Gerusalemme.
La corona, che nella simbolistica ebraica indica la santità, sarebbe rappresentata anche dalla “corona”, residuo del calice fiorale che permane nella parte apicale del
frutto. Il melograno è inoltre nella simbologia ebraica, simbolo di onestà e correttezza, dato che il suo frutto conterrebbe 613 semi, che come altrettante perle sono le 613
prescrizioni scritte nella Torah, (365 divieti e 248 obblighi) osservando le quali si ha certezza di tenere un comportamento saggio ed equo.
In realtà i semi della melagrana sono in numero variabile (di certo circa 600), ma il frutto con i suoi semi ricorda quel numero, che come tanti altri, ha riferimenti precisi
nella numerologia ebraica.
Il melograno per i suoi numerosi semi è simbolo di produttività, ricchezza e fertilità.Nel capodanno ebraico-Rosh Ashana’ e’ usanza mettere sul tavolo una ciotolina con i
semi di melograno a benedizione che il popolo ebraico diventi piu’ numeroso.
Quella della melagrana è una delle poche immagini che appaiono nelle vecchie monete della Giudea come simbolo santo.
Attualmente molti rotoli della Torah quando non sono in lettura, e quindi sono avvolti, sono protetti da involucri in argento e hanno come l’ornamento a forma di corona come
le hanno le melagrane (rimmonim) .
Alcuni studiosi di teologia ebraica hanno supposto che il frutto dell’Albero della vita del “Giardino dell’Eden” fosse da intendersi in realtà come una melagrana.
La melagrana è uno dei sette frutti elencati nella Bibbia (Deu. 8:8), come speciali prodotti della “Terra Promessa”.
Le Metamorfosi di Ovidio e la melagrana (utile interpretazione per chi intende avventurarsi nella Storia dell’Arte)
Cerere, arriva dove Ciane, trasformata , mostra a Cerere la cintura di Proserpina. Allora si ha l’esplosione del dolore di Cerere che maledice la terra che nasconde sua figlia.
Gli effetti dell’ira di Cerere sulla coltivazione sono forti ed è notevole la rappresentazione della dea irata dopo che tante volte è stata celebrata come mitissima.
La ninfa Aretusa induce Cerere a non adirarsi con la terra, e le rivela chi è il rapitore e qual è la condizione di sua figlia, che è diventata la regina dell’oltretomba.
Cerere sale all’Olimpo con il suo carro alato e chiede a Giove di far sì che Proserpina torni alla luce. Il dio le assicura che ciò accadrà se la fanciulla nell’aldilà non ha assunto nessun cibo. Ma lei
ha mangiato i grani di un melograno. E Ascalafo, figlio di Acheronte e di Orfne, lo ha visto e lo rivela, e per punizione viene trasformato in un gufo.
Anche le Sirene erano insieme a Proserpina al momento del rapimento: esse cercarono la fanciulla rapita, desiderando per sé delle ali, e quindi si trasformarono in uccelli, ma conservando il
volto e la voce di ragazze. Giove dispone che Proserpina trascorra metà dell’anno con il suo sposo Dite nel regno infernale, e metà con sua madre sulla terra.
La vicenda termina con un’ulteriore metamorfosi, anche se solo psicologica, quella di Proserpina
da tristissima in lieta.
E finalmente Cerere, felice per aver ritrovato la figlia, si fa raccontare da Aretusa in che modo sia arrivata dall’Elide a Siracusa. Aretusa è fuggita dall’amore del fiume Alfeo: nascosta da una nube, si è trasformata in acqua. Per soccorrerla Diana apre la terra nella quale lei si precipita, ma Alfeo la segue, cercando di mescolare le sue acque a quelle dell’amata, e così lei giunge a Ortigia, la penisola di Siracusa alla cui estremità si trova la fonte Aretusa.
Cerere vola fino ad Atene, consegna il suo carro di serpenti a Trittolemo e gli ordina di diffondere la coltivazione dei cereali sulla terra. Trittolemo arriva in Scizia, dove il re Linco vuole ucciderlo a tradimento e viene trasformato da Cerere in una lince.
L’amore delle tre melarance (bianca come il latte, rossa come il sangue) favola dei fratelli Grimm
C’era una volta un principe che era sempre assai triste perché non riusciva a innamorarsi. Un giorno, mentre era a tavola coi genitori, si punse un dito e una goccia di sangue cadde sulla ricotta che stava mangiando. “Oh, mamma”, sospirò affranto, “quanto vorrei trovare una donna bianca come il latte e rossa come il sangue.”
“Non dire sciocchezze”, rispose la mamma, “Lo sai che non è possibile: una o è bianca o è rossa. Ma se proprio ci tieni, figlio mio, allora parti e va’ a cercare questa donna.”
Il principe si mise in viaggio. Cammina, cammina, incontrò un mago. “O Principe, che vai cercando in lungo e in largo per il vasto mondo?”, gli chiese il mago.
“Io sto cercando una donna che sia bianca come il latte e rossa come il sangue, e quando l’avrò trovata la sposerò.”
“Sciocchezze, maestà. Una o è bianca o è rossa. Ma se proprio ci tieni, devi andare nel castello della gigantessa Creonta. Ma troverai delle difficoltà. Ci sarà un portone dalla serratura arrugginita, un cane da guardia, una corda umida nel pozzo del cortile e una vecchia che spazza il camino coi seni. Eccoti un po’ di lardo, con questo ungerai la serratura e i cardini del portone. Eccoti una pagnotta, la darai al cane. La corda invece dovrai stenderla al sole e farla asciugare, e qui ci sono delle scope che darai alla vecchia. Poi entrerai nella stanza più interna e troverai tre melarance. Prendile e scappa. Quando le aprirai potrai trovare la tua donna bianca come il latte e rossa come il sangue. Ma bada di aprire quei frutti solo accanto a una fontana.”
Il principe ringraziò e andò al castello della gigantessa. Trovò la porta con la serratura e i cardini arrugginiti e li unse. Poi trovò il cane da guardia che abbaiava, ma lui gli diede la pagnotta e il cane si mise a mangiare lasciandolo passare.
Entrò in un cortile dove c’era un pozzo, e la corda del secchio era tutta umida e ammuffita. Lui la stese al sole e la lasciò asciugare. Poi entrò in una cucina dove c’era una vecchia che, non avendo scopini, spazzava il camino con i suoi seni. Lui le diede le scope e lei lo lasciò entrare in un salone. Qui c’era la gigantessa che dormiva, e c’era anche un piedistallo con sopra tre grosse melarance. Il principe prese i frutti e scappò via, ma la gigantessa si svegliò e cominciò a chiamare aiuto:
“Vecchia, vecchia, ferma quel giovane.”
“No”, rispose la vecchia, “perché in tanti anni tu non mi hai mai dato scope per spazzare il camino, e lui sì. E io non sarò tanto sgarbata da nuocere a chi mi ha aiutato.”
“Corda, corda”, continuò la gigantessa, “srotolati e acchiappa quel giovane.”
“Non lo farò”, rispose la corda, “perché in tanti anni tu mi hai lasciato all’umido a marcire, e lui mi ha steso al sole e mi ha fatto asciugare. Non sarò sgarbata con chi è
stato gentile con me.”
“Cane, cane”, disse la gigantessa, “mordi quel giovane e portalo qui.” “Non ci penso neanche”, rispose il cane, “tu non fai che lasciarmi morire di fame, mentre lui mi ha dato una bella pagnotta da sgranocchiare. Non sarò cattivo con chi è stato buono con me.”
“Portone, portone”, urlò la gigantessa, “chiuditi e non lasciar scappare quel giovane.”
“Non lo farò”, rispose il portone, “in tanti anni tu mi hai sempre trascurato, lui invece è stato gentile e mi ha unto la serratura e i cardini, perciò adesso io lo aiuterò.”
Così dicendo il portone si spalancò e il principe riuscì a scappare e a mettersi in salvo con le sue melarance. Quando fu lontano trovò una fontana e aprì la prima melarancia.
Non appena l’ebbe fatto dal frutto uscì una fanciulla bellissima che gli chiese, con sguardo languido: “Presto, bel principe, dammi da bere, altrimenti muoio.”
Il principe non aveva nulla per raccogliere acqua, provò a farlo con le mani per versarla nella bocca della fanciulla, ma non fece a tempo e la ragazza morì.
Aprì la seconda melarancia, e da qui sbucò una fanciulla ancor più bella della prima che gli disse: “Presto, bel principe, dammi da bere, altrimenti muoio.”
Il principe cercò di raccogliere l’acqua con le mani, ma anche stavolta non fece a tempo e la fanciulla morì.
Aprì la terza melarancia, e da qui uscì una terza ragazza anche più bella delle prime due messe insieme, e questa fanciulla gli disse: “Presto, bel principe, dammi da bere, altrimenti muoio.”
Il principe allora prese una manata d’acqua e, senza tante cerimonie, gliela spruzzò in faccia, così la fanciulla si riprese. Era proprio come l’aveva sognata lui, bianca come il latte e rossa come il sangue. “Io ti sposerò, parola mia”, disse il principe, “Però prima devo andare a cercarti dei vestiti.”
Infatti la fanciulla era tutta nuda come mamma l’aveva fatta e non poteva andare in città così. Perciò il principe le chiese di nascondersi tra le foglie dell’albero accanto alla fontana, lui sarebbe andato in città a procurarle dei vestiti, poi sarebbe tornato e l’avrebbe portata con sé a palazzo.La fanciulla si nascose e il principe partì.
Poco dopo arrivò alla fonte la Brutta Saracina, che era una sguattera brutta e avida, e che era lì per prendere una brocca d’acqua. Quando la Brutta Saracina si affacciò sulla fontana vide il volto della principessa riflesso nell’acqua e pensò che fosse il proprio riflesso.
“Ma una bella come me non deve fare la sguattera, deve fare la signora!”, esclamò. Perciò buttò la brocca in terra e se ne tornò a casa senz’acqua.
La sua padrona però si arrabbiò e la rimandò alla fontana con un’altra brocca.
Di nuovo la Brutta Saracina vide il riflesso della principessa e, scambiandolo per il proprio, ruppe anche la seconda brocca e tornò a casa tutta impettita.
La padrona non volle sentire ragioni, le diede un’altra brocca e la rimandò indietro.
E stavolta, mentre la Brutta Saracina vedeva quel bel volto riflesso e lo scambiava per il proprio, la principessa non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere, e allora la sguattera capì che quella bella non era lei, ma una ragazza che si nascondeva nell’albero e ne fu invidiosa.
“Come sei bella, principessa”, le disse fingendosi gentile, “e se mi permetti di pettinarti sarai ancora più bella.”La principessa non voleva scendere dall’albero, ma la Brutta Saracina tanto disse e tanto fece, che alla fine la principessa scese. E non appena l’ebbe a portata di mano, la Brutta Saracina si levò di petto uno spillone e lo conficcò in un orecchio della principessa, che morì all’istante. Ma la Saracina non si accorse che da quell’orecchio era uscita una goccia di sangue che non appena aveva toccato terra si era trasformata in una colomba ed era volata via.
La Brutta Saracina buttò la principessa morta nella fontana, poi si spogliò e salì sull’albero. Il principe arrivò e chiamò la sua principessa.
“Dove sei, mia amata?”
“Sono quassù, come m’avevi detto tu.” “Ma com’è che prima la tua voce era dolce e adesso è aspra?”
“È arrivato il freddo e mi ha cambiato la voce.”
“E com’è che prima eri bianca come il latte e rossa come il sangue e adesso sei tutta scura?”
“È arrivato il sole e mi ha bruciato.”
“E com’è che prima eri bella e adesso sei brutta?”
“È arrivato il vento e m’ha portato via la bellezza.”
Ma comunque, lui ormai aveva promesso che se la sarebbe sposata [nelle fiabe quando un re o un principe promette qualcosa, poi è obbligato a mantenere la parola data,
qualunque cosa abbia promesso, NDR], perciò la fece vestire, se la portò a palazzo e se la sposò. Ma a palazzo, nelle cucine, tutte le mattine arrivava una colomba, e questa colomba parlava al capocuoco e gli chiedeva che facesse il principe, che intanto era diventato re,
assieme alla regina.
“Mangiano, bevono e dormono”, rispondeva il capocuoco.
E la colomba si scuoteva tutta e gli dava delle penne d’oro in cambio di un po’ di zuppa.
Alla fine il capocuoco trovò che questo fosse molto strano, perciò andò a raccontarlo al re e alla Brutta Saracina, che era diventata regina.
E la Brutta Saracina s’insospettì, perciò un giorno andò anche lei a vedere la colomba e, capito che si trattava della principessa della melarancia, prese un altro spillone e
lo conficcò nel petto della colomba. La colomba morì, ma una goccia del suo sangue cadde in giardino e subito divenne un albero di melarance.
Quest’albero si riempì di frutti magici che avevano una particolarità: se una persona in fin di vita li mangiava, subito guariva e tornava in forze.
Perciò la gente accorreva a prendere i frutti, e alla fine rimase una sola melarancia. La Brutta Saracina decise di tenersela lei per bellezza, ma arrivò una povera donna che
aveva il marito in fin di vita, e il re persuase la moglie a lasciare il frutto a quella poveretta.
Quando la donna arrivò a casa, però, vide che il marito era già morto, perciò decise di tenersi la melarancia per bellezza.
Quella era una donna molto pia, che ogni mattina andava a messa, e quando non c’era la melarancia si apriva e ne usciva la principessa, che si metteva a pulir casa, a
cucinare e a sistemare tutto, e poi tornava a nascondersi nel frutto, e quando la donna tornava a casa vedeva che i mestieri erano già stati sbrigati e non capiva chi fosse
stato. Lo raccontò al parroco, e questo le consigliò di far così: “Un mattino fai solo finta di andare a messa, però torna prima in modo da sorprendere chi è che t’aiuta.”
La donna così fece, e vide che dalla melarancia usciva una ragazza bellissima, bianca come il latte e rossa come il sangue, che si metteva a far le pulizie. La donna entrò in
casa e la principessa le raccontò la sua storia. La donna si commosse, decise di accoglierla in casa sua e, dopo averla fatta vestire come lei da contadina (perché la
fanciulla era sempre tutta nuda come mamma l’aveva fatta), la prese con sé.
La domenica seguente le due donne andarono a messa. A messa c’era anche il re, che vide la fanciulla e anche se era passato tanto tempo e lei era vestita da contadina, la
riconobbe.
Così l’attese all’uscita dalla messa e la fermò, e lei gli raccontò di come la Brutta Saracina l’avesse uccisa per due volte con lo spillone per prendere il suo posto.
Il re l’abbracciò, poi mandò a chiamare la Brutta Saracina che venne condannata al rogo indossando una camicia di pece, e quindi sposò la sua principessa bianca come il latte
e rossa come il sangue.L’immagine di Arthur Rackham
Rispondi