Pietà di Kim Ki-Duk a Bologna in occasione della settimana della Corea : proiezione alla Cineteca di Bologna
Il cinema asiatico ha fatto il suo ingresso trionfale a Venezia circa dieci anni fa grazie all’ex direttore della mostra del cinema Marco Muller, che ha attuato una specie di diplomazia del Ping Pong (cinematografica) ante litteram per promuovere la visione di una cultura di un mondo ai più sconosciuta e lontana, quella cinese, in crescita economica e in rapida espansione, curiosamente convivente con un regime dichiaratamente comunista.
E così si è fatta la conoscenza di film irreperibili , come ad esempio il trittico della Vendetta : Vengeance, I tre fratelli, Lady Vengeance, tutti film
fortemente voluti da Quintin Tarantino che ha influenzato alternativamente o la produzione o la distribuzione.
Lo stesso Tarantino in Kill Bill col suo talento spiazzante e multiforme ha introdotto sul grande schermo sia i manga che la marzialità di un popolo ma anche la intensa poesia (in Kill Bill chi non ricorda il
duello fra le due donne sotto la neve al cigolio di una fontanella?)
Per ciò che riguarda il cinema asiatico si parla di una produzione di nicchia, non facilmente recuperabile, con forte impatto, indagini impietose spesso dilatate dall’assenza delle colonne sonore, la descrizione di un quotidiano in attesa di essere soppiantato da uno nuovo , Still Life, appunto.
Film che a loro volta sono irrintracciabili nei circuiti comuni, che hanno il
grande vantaggio di offrirci il mondo asiatico da vicino e che insinuano la
mordace domanda che aleggiava nelle lezioni del prof. Ezio Raimondi “-Il nostro viaggio di uomini è turistico oppure è un pellegrinaggio verso una meta?”-
In tutti i casi il cinema ha consentito una rotta di avvicinamento ai mercati con la sensibilità che solo l’arte può suggerire. A Venezia, dopo le proiezioni si vedevano gli ospiti di riguardo imprenditoriale imbarcarsi alle feste organizzate dalle Maison per potere (come già fece Marco Polo) trasformare il viaggio in impresa reciproca, una nuova via della seta.
Andrea Morini della cineteca di Bologna ha parlato del cinema coreano come un fenomeno molto vivace e vivo, ponendosi, in presenza dell’ambasciatore ome un punto di riferimento per le rassegne a venire.
Qualè l’interfaccia dell’operosità asiatica?
Lo possiamo sapere solo attraverso il cinema, culture e modi di sentire distanti si frappongono alla Babele del linguaggio e del sentire.
E così, quando a Bologna si è svolto un incontro fra la cultura coreana e quella italiana ho seguito l’onda aperta da quella comunicazione che ha riservato la prima cinematografica del film di Kim Ki-Duk “Pietà”al Lumiere, la versione era parlata in coreano e sottotitolata in italiano ed è stata presentata dall’ambasciatore di Corea.
La trama
La trama si snoda attorno ad un esattore di una organizzazione criminale, che presta il denaro a strozzo, che riscuote i debiti decuplicati non uccidendo i creditori, ma mutilandoli per potere riscuotere i soldi dall’assicurazione, cosa che non potrebbe fare in caso di morte.
La trama ci porta a seguirlo in quartieri modesti, abitazioni e sporcizia , si
aggira in piccole botteghe artigiane , gente che ha piccole imprese per
componenti , rivelando una vocazione fortemente meccanica nella produzione del lavoro.
Se e persone non restituiscono il denaro vengono storpiate. L’incontro con la morte spinge le vittime alle reazioni più imprevedibili, il padre di famiglia vuole amputate entrambe le mani per potere pagare il debito e riscuotere il doppio della cifra che gli serve per il figlio nascituro.
Oppure un operaio osservando dall’alto la inesorabile distruzione della città vecchia in cui è vissuto da sempre decide di suicidarsi.
Una critica veramente sferzante al capitalismo, la mercificazione e la morte
dell’uomo/merce senza nessuna speranza di rivalsa.
Improvvisamente, nella vita del sicario, irrompe una figura materna, dice di essere sua madre, di essersene andata ed averlo abbandonato in fasce e cerca faticosamente di ricostruire il rapporto con il bambino in lui.
Il senso di riscatto affettivo della donna verso il sicario è talmente forte che lui incomincia a provare sentimenti autenticamente filiali, in realtà, questa pietà, questo sciogliersi di sentimenti di affettuoso dolore, di commossa e intensa partecipazione è un primo passo che invece del riscatto conduce alla tragedia, come il mito di Antigone rovesciato.
In questo film il regista coreano dimostra di sapere elaborare la cultura
occidentale del mondo antico e classico, assumendo nella caratteristica della pietà le condizioni di una vendetta risolutiva, ed il cerchio continuerà
interminabile.
Non c’è il perdono, quante volte devo perdonare Maestro? chiedevano i discepoli a Cristo , 70 volte 7, Lui rispondeva e siamo irritati a sentirlo dire e reagiamo stizziti a questa parola, ma il perdono è il superamento alla rivalsa e al risentimento, sopratutto in noi.
Nel finale che divide lo scorrimento di una strada alle prime luci dell’alba nel lavoro quotidiano si eleva sorprendentemente il Kyrie Eleison, dubbio e forse conferma di una forza, quella della necessità di fare un salto, quello del perdono.
Roberta Ricci