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Archive for gennaio 2018

La FEDE ARDENTE

Indice degli Indici dei libri all’Indice

a cura di Giovanni Luisè

Rimini – Museo della Città – Sala delle Teche

21 gennaio – 25 febbraio 2018

inaugurazione domenica 21 gennaio ore 18

 

Il libraio antiquario Giovanni Luisè di Rimini in quarant’anni di ricerca ha collezionato edizioni originali degli Indices – dal Concilio di Trento (1545-1563) a papa Pacelli (1948) – assieme a rari esemplari di testi antichi riferiti a censure, formulari degli interrogatori, dei processi criminali, delle torture. L’Index Librorum Prohibitorum fu lo strumento cui ricorse la Chiesa per contrastare la diffusione dell’eresia in generale e in modo particolare la Riforma di Martin Lutero. Un patrimonio librario e documentario di inestimabile interesse storico e iconografico che verrà esposto integralmente per la prima volta al Museo della Città di Rimini, nella Sala delle Teche a partire da domenica 21 gennaio 2018, sotto il titolo Fede Ardente, Indice degli Indici dei libri all’Indice a cura dello stesso Luisè.

Non è la prima volta che gli istituti museali valorizzano patrimoni e collezioni private all’interno dei propri spazi espositivi, si ricorda ad esempio il successo recente della mostra Sacri Calici Oreficeria religiosa dal XV al XX secolo, dalla raccolta Renzo Sancisi e la mostra del 2013 L’Arte del suono. Il mestiere del liutaio, in collaborazione con l’Associazione Nazionale Liuteria Artistica Italiana (ANLAI) di Cremona e dei Liutai Migani di Rimini e ciò nella volontà di creare un ponte tra il collezionismo privato e quello pubblico.

La mostra bibliografica Fede Ardente raccoglie le testimonianze della secolare guerra che la Santa Inquisizione, la Congregazione dell’Indice e il Sant’Uffizio combatterono contro la diffusione della stampa «perniciosa» condannando alla distruzione e al rogo migliaia di libri a cui era affidato il pensiero libero.

Opere di Lucrezio, Dante, Lorenzo Valla, Erasmo, Machiavelli, Giordano Bruno, Galileo, Vittorio Alfieri, Cesare Beccaria, Voltaire, Leopardi, ovvero il cardine della nostra civiltà, furono condannate. Tra queste opere finirono all’Indice e alle fiamme l’Encyclopedie, simbolo dell’Illuminismo, la migliore letteratura francese dell’Ottocento e quella italiana del Novecento.

Il rogo dei libri (la biblioclastia e anche l’iconolastia) è una pratica promossa sin dall’antichità da autorità politiche o religiose legandosi spesso al fanatismo ideologico e purtroppo facendo da corollario ai molti conflitti bellici e ai rovesci di regime. Una pratica che divenne spesso pubblica e si tinse di orrore e di censura.

Dal rogo della Biblioteca di Alessandria, uno dei principali poli culturali ellenistici costruita intorno al III secolo a.C. durante il regno di Tolomeo II Filadelfo, al celebre romanzo distopico Fahrenheit 451 (1951) di Ray Bradbury, nel quale si propone una società che ha come missione localizzare e bruciare i libri; dai roghi nazisti – il più celebre quello avvenuto nella Bebelplatz di Berlino il 10 maggio 1933- al fuoco della labirintica biblioteca del monastero del Nome della Rosa, celeberrimo romanzo di Umberto Eco, appiccato da padre Jorge da Burgos per evitare che il mondo venga a conoscenza dell’ultima copia del secondo libro della Poetica di Aristotele.

Ai roghi del pensiero non c’è mai fine, sia quelli reali che quelli letterari.

«Il fuoco è distruttore, il fuoco è purificatore. Questo è l’assunto apodittico che sta all’origine dell’uso ossessivo delle fiamme per annientare l’oggetto del proprio odio o, se volete il proprio nemico… Nemici non erano i libri in sé ma quello che i libri contenevano: le idee, le fantasie, le invenzioni», scrive Giovanni Luisè nella introduzione del catalogo che accompagna la mostra, che è illustrato da ben 127 schede dei materiali esposti.

 

Orari: da martedì a sabato 9.30-13 e 16-19 domenica e festivi 10-19chiuso lunedì non festivi/INGRESSO LIBERO

info: www.museicomunalirimini.it

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Una delle opere cinematografiche sull’arte più interessanti e vissute del 2017  è sicuramente Manifesto di Julian Rosefeldt . Il cineasta è un artista e approda al cinema con questa opera collaudata, nel passato ha fatto 13 installazioni che grazie alla genialità interpretativa di Cate Blanchett diventano 13 personaggi quotidiani nel film. I personaggi danno voce ai principali manifesti dell’arte del secolo breve, futuristi, situationnistes , non oggettivi fluxus dancer, dadaisti, nichilisti, punk , suprematisti, dogmatici (Lars Von Trier ). Un lavoro gigantesco in biblioteca, si vede dai titoli di coda, in cui si sono cimentati in uno studio enciclopedico i fautori dei testi recitati da Cate Blanchett.
Julian Rosefeldt , assieme a Gianluca Farinelli , che ha inaugurato al mattino della stessa giornata “Visioni italiane” (matinee al cinema) con una presenza di pubblico da capogiro in Cineteca, con due sale colme al Lumière e in partenza ha presentato Rosefeldt e ha comunicato che Cate Blanchett sarà la prossima presidente al festival del cinema di Venezia.
Rosefeldt ha detto che la bravura e il carisma di Cate  Blanchett hanno superato il suo film .
Un ringraziamento speciale al Mast che ha dato ospitalità alla visione e al commento di Julian Rosefeldt.

https://openagenda.com/saison-culturelle-en-ile-de-france/events/manifesto-de-julian-rosefeldt?lang=it

un’opera di Rosenfeldt

https://www.julianrosefeldt.com/

 

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Matteo Lepore

Da questa mattina ricopro ufficialmente l’incarico di Assessore alla Cultura del Comune di Bologna. Avrò bisogno dell’aiuto di tante e tanti, metterò il massimo dell’impegno. Ringrazio per prima cosa il Sindaco Virginio Merola per la fiducia confermata e per il coraggio dimostrato nell’affidare, per la prima volta nella storia dell’amministrazione comunale, a un unico assessore le deleghe: cultura, promozione della città e turismo, sport. Un ringraziamento speciale a Bruna Gambarelli e Riccardo Malagoli, i colleghi che con grande passione e dedizione hanno lavorato insieme a noi, ma che purtroppo ci lasciano. Raccolte le prime idee e effettuato un passaggio di consegne, avrò modo di illustrare più compiutamente come intedo impostare il nuovo lavoro. Quest’oggi voglio però condividere i nomi delle prime cinque telefonate (di una lunga serie) che ho fatto non appena sono arrivato in ufficio.

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di Francesca Parenti

4 marzo 1933: Franklin D. Roosevelt viene eletto trentaduesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Sono passati solo cinque anni dalla Grande Depressione che ha colpito il paese e a cui si aggiunge, rendendo ulteriormente drammatica la situazione, uno stato di siccità gravissima che, dal 1932 al 1936, flagella interamente la zona del corn-belt, terre nelle quali si estendono ampie pianure e fertili colline del centro e del middle west degli States. Con il New Deal, un esteso piano di riforme economiche, politiche agricole e sociali, promosso e avviato dallo stesso Presidente, Roosevelt intende risollevare la nazione dalla grave situazione che ha messo in ginocchio l’economia industriale e agricola di interi stati, colpendo duramente gli strati più deboli della società statunitense. Vengono immediatamente presentati al Congresso due provvedimenti, subito approvati: l’Agricultural Adjustment Act e il Farm Credit Act (1933): entrambi i decreti tentano di arginare il downgrade dei prezzi agricoli e contemporaneamente di fornire prestiti agli agricoltori (il 22% dell’intera popolazione americana) i quali, considerato l’ammontare di debiti contratti, sono costretti a emigrare, trasformandosi da proprietari terrieri in semplici braccianti con salari altalenanti. Per far fronte alla crisi agricola, il governo crea, in seno al Department of Agriculture, l’Agricultural Adjustment Administration la cui gestione è affidata a Rexford Guy Tugwell (docente di economia alla Columbia University, nonché consigliere del Presidente) e a Roy Stryker (che segue i corsi di Tugwell e di cui poi diviene assistente).

Sarà proprio Stryker a gestire e indirizzare la ricerca della Farm Security Administration (precedentemente nominata Resettlement Administration). Egli intuisce la necessità di un progetto sistematico e continuativo, fondato su una ricerca fotografica che documenti la reale situazione delle città e delle campagne, nonché lo stato dei lavoratori agricoli: la FSA diventa una vera agenzia in cui si producono e diffondono immagini di carattere sociale e documentario. Sebbene il programma sia stabilito e concordato anche attraverso frequenti riunioni, ognuno dei fotografi, differente per formazione e attitudini, si esprime attraverso una personale specificità stilistica. Il materiale prodotto dalla FSA non può essere considerato unitario da un punto di vista puramente fotografico, ma è il risultato di linguaggi molteplici e diversificati. Si è scelto qui di sottolineare l’attitudine narrativa di Dorothea Lange e la libertà di composizione di Ben Shahn, offrendo contemporaneamente la possibilità di un contatto con altri sguardi: la rimeditazione delle tradizioni iconografiche dell’Ovest di Arthur Rothstein; l’attenzione formale e l’ironia di Marion Post Wolcott; lo snodo verso una scrittura più duttile in Jack Delano; il punto di vista afroamericano di Gordon Parks. Una scelta limitata rispetto al corpusdi fotografie selezionate da Arturo Carlo Quintavalle, acquisite dall’Università di Parma all’inizio degli anni Settanta e che costituirono uno dei primi nuclei archivistici su cui crebbe il CSAC (oltre che la base della mostra Farm Security Administration, Sala delle Scuderie, Parma, 1975). L’attuale proposta espositiva aspira a essere comunque foriera di riflessioni: un nuovo attraversamento di quella lontana, ma così attuale, epopea.

http://www.sifest.it/il-festival/farm-security-administration/

 

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Bologna ha in comune con la dinastia dei Getty l’arte, infatti il grande collezionismo di Paul Getty è passato sotto l’occhio attento e scrupoloso di Federico Zeri, a cui l’Università di Bologna ha dedicato una Fondazione, in Santa Cristina, accesso piazzetta Morandi, dove sono state migrate le sue collezioni . Zeri, per espresse volontà testamentarie di Getty fu assunto in modo permanente dalla Fondazione Getty Museum, fino a quando con la disputa sul Kauros, finto secondo Zeri, ma acquistato dalla Fondazione per una cifra iperbolica ,non si dimise (a questo proposito fu famosa la leccata al Kauros per verificare la reattività degli agenti della scultura) .
Oggi Ridley Scott dedica al rapimento del giovane John Paul Getty III , il film “Tutti i soldi del mondo” , tratto dall’omonimo romanzo di John Pearson.
Il film è partito col piede sbagliato, trovando coinvolto Kevin Spacey in molestie sessuali ed immediatamente sostituito , tuttavia Spacey, a ben guardare sarebbe stato pur invecchiato dal trucco, troppo giovane per personificare l’erede della dinastia. Le riprese effettuate con Spacey sono state sostituite elettronicamente con Plummer. il personaggio è perfettamente calzante con Christopher Plummer, il capo della dinastia Paul Getty . Il nipote Charlie Plummer che pare essere davvero il nipote anche nella vita, è Paul Getty III. Il film ci rimanda all’ultimo colpo di coda della dolce vita romana (1973) via Margutta, Fontana di Trevi il passeggio notturno della capitale, che si trasforma ,per un adolescente come Paul ,in un incubo , trasformando successivamente la sua vita in modo drammatico, infatti morirà assai prematuramente nel 2011. Il film parla del rapporto con il denaro del miliardario (Ho 14 nipoti se pago il riscatto di uno …) della sua sconfinata passione per l’arte, di una donna coraggiosa Abigail Getty, e della storia sociale dell’Italia nel 1973, le brigate rosse (descritte con frettolosità e improprietà) dell’agente segreto dipendente da Getty a supporto delle trattative e dell’anonima sequestri. Tutto converge a distruggere la vita di una persona e molto probabilmente anche se salvato Paul Getty jr. ha perso la sua vita. Un film da vedere , molto italiano, molto romano, elogio di Villa Adriana , il vecchio Getty sr. si sentiva un imperatore e il suo collezionismo viene letto in questa luce di eternità.

http://www.fondazionezeri.unibo.it/it

 

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