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Archive for settembre 2019

Non si tratta di una collezione sistematica dove si predilige un autore, un periodo storico, un genere fotografico; non c’è la ricerca ossessiva di un’opera né tanto meno criteri speculativi. Il comune denominatore nella scelta è senza dubbio soddisfare il piacere estetico, una collezione di matrice emozionale più che razionale. Dapprima lo stupore poi una sorta di magnetismo e quindi il desiderio di possesso.
Nella mia collezione rara è la fotografia come documento, genere che apprezzo e di grande valenza sociale, prevalente è la fotografia come arte o meglio opere realizzate con il mezzo fotografico. Sono sedotto da linguaggi diversi. Il linguaggio del corpo (Demaison, Weston, Yamamoto, Calle, van de Puttelaar) , il ritratto (Giacomelli, Keïta, Palomäki, Serrano), il paesaggio (Campigotto, Barbieri, Hido, Evans, Chiaramonte), gli animali (Scianna, Sammallahti, Kraijer), le composizioni artistiche (Garcin, Ventura, Vitturi, Mériau, Cresci, Harvey-Regan), il reale e il surreale (Branzi, Migliori, Berengo Gardin, Fontcuberta, Ballen, Uelsmann), l’impegno civile con una velata o manifesta denuncia sociale (Rosfer & Shaokun, Ghadirian, Silomäki, Winship, Battaglia).
Linguaggi diversi, artisti noti e meno noti, cifre stilistiche difformi fonte di una forza seduttiva sulla mia personale sensibilità e, forse, su chi avrà modo di guardarle.
“Quando sei stato sedotto da qualcosa, è bello non pensarci troppo e cullarsi nel piacere della seduzione.” (Philip Roth)
 
Pier Luigi Gibelli

https://www.sifest.it/it/mostre/2/Collezione-Pier-Luigi-Gibelli-Il-dubbio-d….html


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Mino Milani, giornalista, scrittore, autore di fumetti è ormai nell’Olimpo della letteratura italiana. Ha collaborato con Il Corriere dei PiccoliIl Corrierino, e lavorato con i più grandi disegnatori italiani, Hugo PrattMilo ManaraDino Battaglia.
Autore di serie western come Tommy River e decine di romanzi storici, mitologici ha accompagnato gli studi e lo svago di diverse generazioni di ragazzi.
Nel 2010, il comune di Medole (Mn) gli ha conferito la cittadinanza onoraria per la sua opera di storico.

La Targa Paolo Volponi per la Letteratura è stata assegnata a Mino Milani , nella serata a lui dedicata :” Avventura Ad Ventura , alla ricerca delle cose che verranno ” , ha dialogato con l’autore Antonio Faeti . Interventi di Nicola Galli Laforest e Giovanni Giovannetti.  La consegna della Targa dall’on. Luca Rizzo Nervo. Ha condotto Milvia Comastri.

dall’alto : consegna della Targa Volponi 2019 Luca Rizzo Nervo

Antonio Faeti

Mino Milani

Nicola Galli Laforest

Giovanni Giovannetti

Antonioi Faeti, Milvia Comastri, Nino Milani

La premiazione e gli interventi

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Presso Monte di Pietà, corso Vendemini, 53

“Sì, anche nell’arte domina l’esibizionismo. Gli artisti diventano eroi semiologici che creano pseudo-opere vistose e perciò riconoscibili. Sicché tutto si equivale e si dissolve.”
Gillo Dorfles
Il guanto rosso di Michael Schumacher. La tuta blu di Alberto Tomba, la maglia di Michael Jordan dei Chicago Bulls e molti altri oggetti, attrezzi o indumenti appartenuti e usati in un momento particolare dai campioni dello sport. Ogni foto è una storia. Ogni scatto un simulacro. Quasi un ex voto. Una reliquia. Una promessa. Un’emozione.
Potrebbe essere questa la sintesi descrittiva del progetto Witness di Marco Craig che, con un work in progress (il lavoro non è ancora concluso) va costruendo una sorta di campionario di cimeli, per nulla feticista, direi, e tendente alla valorizzazione simbolica di uno storytelling contemporaneo.
Gli oggetti, fotografati in pianta, sono stati inseriti in una busta sottovuoto e ognuno è accompagnato da una piccola etichetta anticata che funge da didascalia. Si tratta di scelte estetiche necessarie a rendere omogenea una raccolta molto diversa per forme e dimensioni. In più, viste dal vivo, le immagini sono davvero impressionanti: stampate nella proporzione uno a uno, sono capaci di restituire emozioni e di contenere memoria.
La prima volta che ho incontrato queste fotografie ho preso degli appunti mentali: luce bianca, silenzio, concentrazione, prevalenza del rosso, serenità, lentezza, zero orizzonti, nessun luogo e tutti i luoghi del mondo, memoria degli altri, unicità.
Ho pensato a queste immagini come a pezzi di mondo separati tra loro, che, semplicemente per il fatto di essere stati fotografati, assumono un nuovo significato. Improvvisamente ho capito che anche l’immaginazione fa parte dello spazio, diventa palpabile e visibile. Dentro queste fotografie c’è fisicità, c’è la consistenza della luce e dell’aria. È per questo che si percepiscono come un tutt’uno, come un abbraccio collettivo.
Mi sono anche interrogato sulla fotografia di genere. Che cosa sto guardando? Immagini sportive? Still life? Prove indiziarie?
Nulla di tutto questo, ovviamente.
Una volta, intervistando un fotografo sportivo, ho raccolto questa frase: “Se vedi l’azione vuol dire che l’hai persa”. Questo il mantra di chi dimostra di essere capace di stabilire un rapporto di sintonia con gli atleti e di entrare nell’euforia vibrante del pubblico. Marco Craig ha messo in scena esattamente il contrario. Se è vero che tempismo e reattività sono da sempre alla base di un certo modo di fotografare, questa serie ribadisce, invece, l’importanza del progetto, della ricerca e del pensiero, perché questi scatti prendono le distanze dai generi specifici e fanno il loro ingresso nella dimensione contemporanea del racconto.
Quando Man Ray dice “fotograferei più volentieri un’idea di un oggetto, e un sogno piuttosto che un’idea”, forse ci sta dicendo che la grammatica delle immagini non ha mai cercato di seguire le regole della parola. Ci sta confermando, in nome di una precisa e necessaria autonomia, che la fotografia è figlia dello spirito moderno e borghese con la sua natura specifica, quella della riproducibilità, distruggendo così l’aura legata al concetto di unicum e facendosi “art moyen”, facilmente accessibile, meccanicamente semplice. E tutto questo io lo ritrovo nel lavoro di Marco Craig.

Denis Curti

https://www.sifest.it/it/mostre/3/Marco-Craig-Witness.html

Dall’alto

La racchetta di Andy Roddick

le scarpe di David Beckam

la fascia per capelli di Bijorg

il diario di bordo di Ambrogio Fogar del suo ultimo viaggio

la maglia di Diego Armando Maradona

le scarpe di Giuseppe Meazza

bulloni della moto del Sic

la tuta di Alberto Tomba

 

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A Savignano sul Rubicone la 28 edizione del Festival della Fotografia : Sifest 

Atlante umano
a cura di curated by
Mario Beltrambini, Giuseppe Pazzaglia Chiara Pirra

Censimenti in immagini dall’archivio della città di Savignano sul Rubicone

“Il progetto di un censimento in immagini della città di Savignano sul Rubicone” racconta Paola Sobrero, dirigente del settore Cultura del Comune di Savignano sul Rubicone, anima del festival di fotografia dalla prima edizione, “nasce nel 2007 e si inserisce nella programmazione della XVI edizione del festival fotografico con lo scopo di tracciare la fisionomia della popolazione di Savignano sul Rubicone in una fase di trasformazione del tessuto sociale.” Il primo a cimentarsi è stato lo straordinario e compianto ritrattista maliano Malick Sidibé, che ha ricreato a Savignano il suo celebre studio di Bamako, ritraendo per giorni, rigorosamente con negativi 6×6, cittadini e pubblico del festival, “sempre con il suo stile esemplare, attento ai particolari e alla composizione grafica, unito a una spontanea empatia e a un’ineguagliabile delicatezza nei confronti dei soggetti fotografati”. Dopo di lui, altri nomi importantissimi della fotografia internazionale.

sono passati da Savignano, partecipando ciascuno con il proprio sguardo a questo inarrestabile lavoro di documentazione visiva dedicato alla città e ai suoi abitanti: un progetto a lungo termine finalizzato alla realizzazione  di un catalogo per immagini; un work in progress dalle implicazioni non solo estetiche, capace di cogliere anche aspetti umani, antropologici, sociali o produttivi, ovvero tutto ciò che definisce l’identità di un territorio, nelle sue omologazioni e nelle sue peculiarità, nella sua natura di realtà aperta e contemporanea, in rete con il mondo ma dotata di una tradizione, di una cultura e di una storia specifiche.

L’edizione 2019 del SI FEST, dedicata alle tante fascinazioni della fotografia contemporanea, non poteva che riservare a questo seducente work in progress lo spazio per definizione più prestigioso e condiviso: la piazza centrale del paese. Per raccontare al meglio un lavoro che ha coinvolto l’intera cittadinanza, la centralissima piazza Borghesi accoglie così una selezione organica e ragionata del vasto materiale accumulato: un “patrimonio non solo di fotografia contemporanea, ma di documentazione, di memoria, di socialità, di costume e di vita”, “il sorprendente spaccato visivo di una città che” – ricorda ancora Paola Sobrero – “ha fatto della fotografia lo strumento primario  ed eccellente per comunicare, raccontarsi, lasciare testimonianza di sé, guardare al proprio futuro”. Un atto di restituzione alla città, in cui ognuno guardando è chiamato a comprendere, giudicare, trasformare, immaginare, dimenticare, dimenticarsi…

di più: https://www.sifest.it/it/si-fest/progetti-speciali/atlante-umano.html  

In piazza Borghesi all’accoglienza del Festival una mostra in piazza con foto che ricapitolano la storia del Festival degli anni passati . Un angolo dedicato alla lettura portfolio. Foto di Chico De Luigi, Mario Dondero,, Silvia Camporesi, Franco Vaccari, marina Alessi,  Studio Malick Sidibe


 

Denis Curti il curatore del Sifest 2019 

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Casadeipensieri 2019

“I Carracci : la rivoluzione silenziosa ” è un film di Giulia Giapponesi che è stato proiettato in Piazza Maggiore in occasione di “Sotto le stelle del cinema ” la rassegna estiva della Cineteca di Bologna in Piazza Maggiore.
Marco Riccomini ha parlato di Ludovico Carracci , il cugino giovane e figlio del macellaio, il cui dipinto ad Oxford raffigura la macelleria del padre e dipinge alla prima senza bozzetti , Agostino giovane e colto e suo fratello Annibale che ha sempre la matita in mano anche se non coltiva letteratura e la poesia.
Una commissione del Conte Fava che è cliente del sarto , padre di Annibale e Agostino che desidera un affresco, e nasce così il ciclo degli Argonauti . I tre Carracci riescono a lavorare e capire che l’unione fa la forza .
Ora questo team è in un film di Giulia Giapponesi che si potrà ammirare al Bellaria film festival sabato 28 settembre alle 19,15  . Ma è solo il primo appuntamento.

I Carracci erano tre ma lavoravano all’unisono. Il Conte Fava si era lamentato con Ludovico perchè i suoi cugini, Annibale e Agostino, avevano dipinto a suo dire, ma sopratutto influenzato dagli amici, in modo frettoloso gli affreschi, che sorgono ad otto metri di altezza . Ludovico gli promise di correggerli, per non scontentarlo e lo riferì ai cugini che faceva entrare nottetempo a correggere .
E’ stata elevata una piattaforma per consentire di vedere gli affreschi a distanza ravvicinata e la regista Giulia Giapponesi ha girato un film. Marco Riccomini racconta tutti i retroscena e tre musicisti di strada eseguono una straordinaria colonna sonora.

Annibale, Agostino e Ludovico Carracci furono indiscussi protagonisti del ‘500 artistico italiano, e costituirono di fatto il primo “collettivo artistico” della storia, fondando a Bologna, la loro città l’Accademia degli Incamminati, concentrandosi sulla riproduzione del reale. Il loro immenso patrimonio, esposto nelle gallerie di tutto il mondo occidentale, è raccontato da Marco Riccòmini in “Carracci, la rivoluzione silenziosa”, road-menthary diretto da Giulia Giapponesi. Il film, prodotto da Codalunga, società di produzione cinematografica, ha ricevuto il sostegno di Fondazione del Monte e UniCredit, all’interno del progetto artistico di valorizzazione di Palazzo Magnani di Bologna, ed è stato realizzato con il contributo di Emilia-Romagna Film Commission.

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