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Archive for the ‘Fotografia e viaggi’ Category

Questa è Olga, un bimba del popolo dei Nenets.Vive nella penisola dello Yamal, terra che fa parte della vasta Siberia Russa. I genitori di Olga sono allevatori di renne, nomadi come gran parte dei Nenets. Quando le loro renne decidono di spostasi per trovare altri pascoli, la famiglia deve seguirle, i chum (le tipiche tende artiche) vanno smontate e caricare sulle slitte. Il sentiero da seguire è lo stesso da centinaia di anni, ogni famiglia sa quando e come spostarsi nella sterminata tundra polare. Il giorno della migrazione è l’ideale per passare del tempo con i bimbi, stanno molte ore all’aperto mentre attendono che i genitori siano pronti per il trasloco. Bello osservarli, sono bimbi imbacuccati per resistere a temperature estreme, le loro guance sono rosse come mele mature, i movimenti resi goffi dagli spessi strati di pelliccia. É incredibile condividere con loro questa giornata. Il termometro segna temperature impossibili e mentre io cerco di raccogliere il mio naso e le dita cadute a terra per il gelo, loro con un sorriso delicato e qualche palla di neve impertinente trasformano la mia giornata in una esperienza emozionante e autentica.

This is Olga, a child of the Nenets people.She lives in the Yamal Peninsula, a land that is part of the vast Russian Siberia. Olga’s parents are reindeer herders, nomads like most of the Nenets. When their reindeer decide to move to find other pastures, the family must follow them, the chum (the typical arctic tents) must be dismantled and loaded onto the sleds. The path to follow has been the same for hundreds of years, every family knows when and how to move across the boundless polar tundra. Migration day is ideal for spending time with the children, they spend many hours outdoors while waiting for their parents to be ready for the move. It is nice to observe them, they are babies wrapped up to withstand extreme temperatures, their cheeks are red like ripe apples, their movements made clumsy by the thick layers of fur. It is incredible to observe them and share this day with them. The thermometer marks impossible temperatures and while I try to collect my nose and fingers that have fallen to the ground from the frost, they with a delicate smile and few impertinent snowballs transform my day into an exciting and authentic experience.

Uno speciale ringraziamento a Nicola Ducati per avere consentito a Mistic Media blog la pubblicazione del suo fotoreportage

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Il nome segreto dei NenetsI nenets sono una popolazione animista che abita la tundra siberiana da millenni. La loro lingua è di origine samoyedica, incomprensibile, primordiale e affasciante. Difficile da immaginare come esprimano i loro pensieri, l’esistenza che fanno è legata alla natura, alla terra artica, ai cicli stagionali e alla loro ricchezza rappresentata dalle renne. Il linguaggio che usano è perciò molto essenziale ma anche straordinariamente raffinato. Parlano pochissimo ma usano decine di parole diverse per descrivere il colore bianco e le tante sfumature che i loro occhi possono cogliere nel manto di ghiaccio e neve che avvolge la loro esistenza.Hanno anche un altro grande segreto, ogni Nenet ha un secondo nome che nessuno deve conoscere e che non può’ essere rivelato. Il nome viene usato dallo sciamano solo in caso di estremo pericolo e per curare le malattie, conoscere il loro vero nome è un mistero, non puoi chiederlo e non puoi pronunciarlo. Puoi solo provare a chiudere gli occhi davanti a loro, immaginare e ascoltare cosa senti nel vento.

The secret name of the NenetsThe Nenets are an animist population that has inhabited the Siberian tundra for millennia. Their language is of Samoyedic origin, incomprehensible, primordial and fascinating. It is difficult to imagine how they express their thoughts, the existence they make is linked to nature, the Arctic land, seasonal cycles and their wealth represented by reindeer. The language they use is therefore very essential but also extraordinarily refined. They speak very little but use dozens of different words to describe the white color and the many shades that their eyes can grasp in the blanket of ice and snow that envelops their existence.They also have another great secret, each Nenet has a second name that no one must know and that cannot be revealed. The name is used by the shaman only in case of extreme danger and to cure diseases, knowing their real name is a mystery, you cannot ask for it and you cannot pronounce it. You can just try to close your eyes in front of them, imagine and hear what you feel in the wind.

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La foto di Roberta Ricci  la Apple e la fila a Bologna per l’apertura  post Covid

In un articolo comparso nei giorni scorsi su “La Repubblica” l’autore il giornalista Daniele Vulpi  rivela  che :

… poche persone sanno che alcuni dei suoi scatti sono stati usati negli sfondi per desktop di uno dei sistemi operativi Apple più popolari, Mac OSX 10.5 Leopard. Proprio così. La rivelazione arriva da da una persona “informata dei fatti” considerando che ha lavorato per un ventennio a Apple, nella sede centrale di Cupertino, Chris Hynes. Nel suo blog ha raccolto alcune fotografie, scattate da Jobs, usate come sfondi proprio per quel sistema operativo annunciato il 6 giugno 2005 durante il Worldwide Developers Conference a San Francisco: foglie di erba riprese con obiettivo macro per coglierne la rugiada posata sopra, un albero pieno di foglie verdi, una distesa di piante di lavanda, un tempio zen buddista a Kyoto, in Giappone, e un tradizionale giardino di pietre. 

Hynes racconta anche un aneddoto che riguarda Jobs e ha che a fare proprio con la fotografia, in un post dal titolo “L’ultima volta che ho visto Steve Jobs”. Fu al quartier generale di Cupertino, Jobs che stava dirigendosi verso una macchina nel parcheggio che lo attendeva con la portiera aperta e il motore acceso. Scrive Hynes: “Una famiglia era vicino al cartello Apple all’esterno dell’edificio, il luogo spesso scelto dai turisti per scattare foto durante le loro visite a Apple. Il padre si rivolse a Steve mentre passava vicino e gli chiese: ‘Mi scusi, signore, le dispiacerebbe scattarci una foto?”

L’attività di fotografo di Steve Jobs è sotto gli occhi di tutti , passato nell’anonimato ?

di più :

https://www.repubblica.it/tecnologia/2020/05/15/news/steve_jobs_fotografo_suoi_alcuni_sfondi_desktop_di_mac_osx_10_5-256700699/

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Ormai il Festival della Fotografia europea di Reggio Emilia ha chiuso , ma è talmente profonda e ricca la ricerca esposta che le immagini ritornano a popolare l’immaginario , in particolare il lavoro di Michele Nastasi che ha fotografato i vari aspetti difformi per paesaggio usi e costumi dell’Arabia di oggi
la scheda critica :
https://www.fotografiaeuropea.it/…/mostra/michele-nastasi-2/
““Arabian Transfer” mette in luce la condizione transitoria di sei città della Penisola Araba, Abu Dhabi, Doha, Dubai, Kuwait City, Manama, Riyadh, rappresentandole come territori di approdo di culture e persone.

Negli ultimi decenni questi luoghi sono apparsi come mondi nuovi, nuovi epicentri globali resi possibili dall’attuale iper-mobilità di persone e immagini, beni e finanze: essendo per lo più popolate (ed edificate) da immigrati di tutto il mondo, essi sono oggi un laboratorio vivente in cui le aspirazioni identitarie locali si confrontano con i modelli occidentali e con le culture di provenienza degli abitanti.

In queste fotografie Michele Nastasi ha cercato di distaccarsi dal tono sublime e grottesco con cui la fotografia tende a enfatizzare gli aspetti più spettacolari di questi paesaggi, così come dall’immaginario astratto dei nuovi skyline. Essi rimangono sullo sfondo come la New York di Dos Passos a cui allude il titolo.

Nelle immagini ha privilegiato un rapporto intimo e diretto con le città e i loro abitanti, avvenuto in prevalenza camminando e passando molto tempo nelle strade e nei luoghi urbani, senza nascondere le difficoltà della condizione metropolitana. Attraverso la quotidianità di abitudini, gesti e volti, ha cercato di far emergere un senso di presenza, mostrando queste città come luoghi in cui le persone vivono e dove, nella forma estrema e paradossale che le caratterizza, è possibile riconoscere la condizione contemporanea globale a cui noi stessi partecipiamo.”

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